Prima di iniziare con un articolo sicuramente impegnativo è importante sin da subito evitare ogni possibile confusione tra la pesca a feeder e la generica pesca a fondo con il pasturatore: la prima ha i suoi principi, ben codificati, la seconda no. La pesca a legering in mare è poi essenzialmente una pesca in acqua ferma, intendendo cioè che si è in assenza di una corrente chiaramente individuabile e con le caratteristiche di quella che si trova spesso in fiume e nel tratto di foce. Sono tollerati ovviamente un certo grado (ridotto) di onda, una minima turbolenza o una debole corrente di fondo ma, in generale, si può parlare di “calma”. Trattandosi di una disciplina che punta molto su precisione e sensibilità non è adatta a mare formato e forti turbolenze che da un lato comprometterebbero la lettura delle mangiate sul quiver e dall’altro impedirebbero di pasturare e presentare l’esca in pastura come si deve.
Attrezzatura e cura
Non vi sono particolari differenze tra le attrezzature che utilizziamo in acqua dolce e quelle che dedichiamo alla pesca in mare e rimane sostanzialmente valido quanto abbiamo già scritto nell’articolo dedicato. La scelta della canna e del mulinello dipendono dal tipo di pesca che intendiamo fare e dal tipo di spot, seguendo sempre le regole generali che riguardano il tipo di approccio (light, medium, heavy), la distanza (short, medium, long range) e l’altezza della riva rispetto al livello del mare (bassa o alta).
Parlando di acqua salata va accennato innanzitutto alla cura delle attrezzature in quanto la vera differenza tra mare e acqua dolce sta nell’aggressione della salsedine. A riguardo ritengo che la scelta di una canna e di un mulinello devono tener conto prima di tutto delle caratteristiche intrinseche piuttosto che della particolare resistenza offerta agli stress ambientali. In altre parole non esistono a mio modo di vedere canne e mulinelli specifici per il mare finché ne avete cura. Pesco da anni in acqua salata con attrezzature studiate per il feeder in acqua dolce e non v’è traccia di ossidazioni e corrosioni ed il motivo è semplicissimo: le pulisco e le proteggo. E state certi che se non lo fate alla lunga cedono anche quelle come progettate per il saltwater.
I principali prodotti utilizzati per la cura e la manutenzione delle attrezzature.
La cura ordinaria prevede semplici operazioni di pulizia ed utilizzo di prodotti non aggressivi, quali tipicamente l’olio siliconico e quello di vasellina. Prodotti come il CRC 6–66 (marine) o il WD-40 (multifunzione) andrebbero utilizzati solo in caso siano presenti segni di iniziata ossidazione/corrosione su parti metalliche esposte. Il fine è infatti quello di eliminare lo sporco e la salsedine e proteggere dall’umidità, eventualmente arrestando processi ossidativi ed impedendone lo sviluppo. Sempre senza esagerare.
I residui di sporco vanno prima rimossi con un pennello ed uno stuzzicadenti in legno. Non utilizzare aria compressa poiché vi è il rischio che lo sporco si insinui più in profondità.
Rimosso lo sporco (polvere, granelli di sabbia, residui di pastura) si tratta semplicemente di “lavare” il mulinello, come gli anelli delle canne ed il manico in sughero con un panno in microfibra inumidito d’acqua. Gli anelli si possono sciacquare anche con un getto d’acqua ma per il mulinello è più sicuro utilizzare il solo panno.
La vasellina tecnica si applica sul rullino guidafilo del mulinello il quale poi viene fatto ruotare con lo stuzzicadenti così che il lubrificante penetri in profondità e si possa verificare la perfetta rotazione. Una spruzzatina leggera va anche sulla ruota dentata e la parte superiore dell’albero.
Il resto è silicone spray che risulta altamente protettivo ma unge molto meno. Viene spruzzato all’interno della bobina, sulle parte metalliche esterne del mulinello (es. viti, manovella e suoi ruotismi) e sugli anelli della canna. Ne basta pochissimo ed un eccesso può essere rimosso con della comune carta da cucina. Il silicone spray può essere utilizzato anche sul manico in sughero della canna ma giusto una volta ogni tanto, di solito una o due volte a stagione.
La pulizia con il panno inumidito andrebbe effettuata dopo ogni uscita in mare. Silicone e vasellina andrebbero fatti seguire alla pulizia circa ogni quattro pescate. Questo assicura un’ottima protezione senza eccessi di lubrificanti/protettivi ed è veramente difficile che si presenti qualche forma di ossidazione/corrosione. Se dovesse comunque capitare, dopo la pulizia generale si può applicare sulle parti esposte un prodotto più aggressivo come il CRC 6–66 o il WD-40. Personalmente preferisco utilizzare un pennellino imbevuto nel prodotto piuttosto che spruzzarlo (in modo da limitarne l’applicazione alla sola parte interessata).
Spot e fondali
Nonostante la grande variabilità delle nostre coste e la tipicità di ogni spot ciascuno può essere inquadrato secondo uno schema relativamente semplice che suggerisce poi le scelte tecniche più appropriate.
- Altezza della riva: quanto vi trovate in alto rispetto alla superficie dell’acqua condiziona la scelta della canna poiché in generale tanto più alta è la riva tanto più lunga dovrà essere appunto la canna.
- Profondità dell’acqua: A seconda della profondità si utilizzano pasturatori di peso diverso (anche tipologia, ma è un altro discorso). In acqua molto bassa i feeder devono essere molto leggeri ed una canna troppo potente non riesce a lanciarli agevolmente. In acqua profonda si utilizzano feeder più pesanti e chiaramente la canna deve poterli gestire senza sforzi.
- Raggio di azione: qui ci si riferisce alla distanza da riva. In genere per la corta distanza si preferiscono canne corte e per il long range canne più lunghe. Varia anche la taglia dei mulinelli ovviamente.
Chi è all’inizio o ha un budget limitato o anche pesca a legering/feeder saltuariamente di solito possiede una sola canna. In questo caso la soluzione migliore è la via di mezzo: 12 piedi medium. Il che significa una canna da circa 3.60 m con un casting massimo di 90 grammi e tre quiver nel range 1–3 once (oz). Canna che si abbina ad un mulinello di taglia 4000 imbobinato con un filo da 8 lb (0.21–0.22). Queste sono canne che consentono un’ampia gamma di approcci in mare e più o meno riescono a coprire un po’ tutte le necessità pur presentando alcuni limiti agli estremi (feeder molto leggero sulla corta distanza e feeder medio-pesante sulla lunga).
Caso uno: acqua e riva basse
Spot che in mare sono un po’ particolari. In genere si tratta di piccole spiagge o scogliere basse adiacenti che si affacciano su fondali misti relativamente poco profondi (massimo 2 metri). Anche la pesca poco oltre il gradino di risacca di certe spiagge rientra in questa categoria. Non stiamo ad elencare tutte le possibilità ma il contesto è ben descritto da due condizioni caratteristiche:
- Ci possiamo posizionare in riva al mare e più o meno allo stesso livello (non troppo rialzati)
- Presenza di pesce nella medio-corta distanza (non oltre i 50 metri)
Le canne ideali sono le maneggevoli 11 piedi (circa 3,30 m) abbinate a mulinelli leggeri (3000 o 4000 a bobina non particolarmente grande) caricati con un filo sulle 7 lb (0.20–0.215 mm). Si montano quiver da 1 e 1,5 oz. Quando si pesca così leggeri è richiesta una condizione di calma poiché un vento eccessivo o un po’ d’onda o risacca provocano problemi di lettura delle mangiate (movimenti indesiderati del quiver).
L’approccio classico prevede la realizzazione di un fondo di pastura su un area di circa quattro metri quadrati tramite pasturatori leggeri ma di medie dimensioni. Dopo la realizzazione del fondo si passa a feeder più piccoli (che sul basso fondale provocano meno disturbo).
Riva bassa adiacente ad una piccola spiaggia di basso fondale. Anche a diverse decine di metri da riva la profondità è ridotta. Le caratteristiche del fondale e della zona (umida) fanno di questo spot l’habitat ideale per spigole e orate.
Caso due: acqua e riva alte
Spot più classici e numerosi. Sono le scogliere che si affacciano su profondità superiori ai tre metri come anche le banchine di porti. Anche qui non stiamo a fare l’elenco ma riassumiamo il contesto caratteristico:
- Ci si posiziona in posizione rialzata rispetto alla superficie mare.
- Presenza di pesce nella medio-corta distanza (compreso l’immediato sotto riva).
Qui occorre portare con precisione la pastura velocemente sul fondo. Trovandoci in posizione rialzata sono più utili canne lunghe, dell’ordine dei 12–13 piedi cui si abbinano mulinelli di taglia 4000 con lenze madri fino alle 8 lb (0.22 mm). I quiver vanno da 1 a 2 oz e i pasturatori sono di peso medio-leggero e tanto più chiusi quanto maggiore è la profondità (per evitare troppa dispersione in calata). Se si pesca con gli sfarinati (grounbait) le gabbie lasciano il posto agli open-end superati i tre metri, se si pesca con il bigattino si utilizzano i classici block-end, eventualmente con qualche passata di nastro isolante sui fori laterali se c’è una certa profondità.
La scogliera naturale che si affaccia su fondali di discreta profondità è il tipico spot da sparidi, in particolare saraghi e occhiate. Anche l’orata è una preda frequente, specie se vi sono aree di fondale misto.
Caso tre: media e lunga distanza
Qui non stiamo tanto a vedere se la riva è bassa o alta in quanto il fattore da prendere in considerazione è la distanza di lancio (superiore ai 50 metri) e ciò impone una canna lunga, da 13 piedi, con una buona schiena ed un mulinello dalla bobina grande e con discreta capacità, quale un 5000. I quiver da montare in mare vanno dalle 2 alle 3 once (oz). Nella pesca su distanze molto lunghe in bobina oggi si preferisce il trecciato in quanto garantisce rapidità di trasmissione nettamente superiore al nylon e diametro molto sottile rispetto al carico di rottura, cosa che chiaramente facilita il lancio e consente di guadagnare metri.
Trecciato in bobina. Il diametro sottile garantisce lanci lunghi anche con feeder di peso medio mentre l’assenza di elasticità facilita la trasmissione delle mangiate al quiver pur su distanze molto lunghe.
Ovviamente va inserito uno shock leader in nylon pari ad almeno due volte la canna (quindi minimo 8 m). Più che “shock” lo definirei solo “leader” dato che la sua funzione non è tanto quella di assorbire lo shock del lancio ma di conferire elasticità in fase di combattimento con la preda e addirittura rappresentare un segmento più incline a rompersi in caso di incaglio o abrasione su strutture profonde. Quindi nel feeder in long distance non è il caso di esagerare col diametro del leader (uno 0.25 mm si può considerare un diametro massimo) anche perché il lancio, se ben fatto, consente di raggiungere distanze considerevoli senza particolare stress viste sia le caratteristiche della canna che il filo sottile in bobina (il trecciato generalmente dello 0.10 o massimo 0.12 mm).
Nodo Alberto per la giunzione tra trecciato e leader in nylon. Una goccia di cianoacrilato consente di formare una perlina sul nodo che ne facilita lo scorrimento e lo svolgimento delle spire di filo durante il lancio.
Per gli stessi motivi non sono necessari, salvo rare occasioni, neanche feeder di peso esagerato (quelli si usano in fiume per contrastare le correnti, non per lanciare lontano). Nella pesca in long range il feeder giusto è quello che consente di raggiungere la distanza desiderata e di tenere il fondo con il minor peso possibile. Vi sono ad oggi diverse tipologie di feeder che hanno dalla loro una particolare aerodinamicità e quasi tutti presentano il piombo al polo basale, talvolta con alette direzionali sul corpo. Questi pasturatori hanno il vantaggio di facilitare il lancio e in mare, dove non vi sono correnti importanti, presentano una stabilità abbastanza buona. Ve ne sono anche altri che pur avendo il piombo lungo il corpo garantiscono una lanciabilità discreta ed una stabilità ancora maggiore. In sostanza un approccio corretto al long range è frutto di una giusta combinazione tra feeder, canna e filo in bobina.
Alcune tipologie di feeder particolarmente adatti alla pesca a distanza.
La precisione
Che si tratti di mare o acqua dolce il segreto del feeder è la pasturazione ed una pasturazione è tanto più efficace quanto più è concentrata in un’area limitata. Se l’area è troppo vasta si verifica dispersione sia della pastura, che quindi attrae meno per un semplice discorso legato al rapporto quantità/volume d’acqua (o superficie di fondale), sia dei pesci. Più semplicemente occorre lanciare con la massima precisione possibile sempre nello stesso punto.
I feederisti più “avanzati” fanno uso dei distance stick, in pratica dei picchetti che si piantano nel terreno a distanza predefinita e intorno ai quali viene avvolto il filo in bobina fino alla distanza di lancio scelta. Ottenuta la misura, il filo viene clippato in bobina e poi riavvolto nel mulinello. Ovviamente in mare un’operazione simile si può svolgere solo sulla spiaggia mentre è impossibile piantare picchetti sugli scogli o su una banchina. Ne viene che i distance stick non vengono praticamente mai utilizzati. Anche il clippaggio del filo in bobina può avere i suoi contro in caso di partenze violente dato che può non essere semplicissimo liberare il filo per cederlo al pesce. Tra i tanti metodi alternativi all’uso della clip sulla bobina forse l’anello elastico è quello che offre il compromesso migliore.
Un anello elastico di 6–10 mm ricavato da una camera d’aria di bicicletta rappresenta un ottimo sistema di clippaggio in quanto consente comunque di cedere filo con la frizione.
Si tratta di tagliare un anello di 6–10 mm da una camera d’aria di bicicletta e di applicarlo sul filo in bobina a fine lancio. Se abbastanza stretto la presenza dell’anello è sufficiente a bloccare il filo durante il lancio successivo (si fissa così la distanza) senza tuttavia provocarne particolare stress (è di gomma) e consentendo lo svolgimento dello stesso durante la rotazione della bobina (cessione del filo con la frizione). Può essere utile abbinarvi un nodo di stop (come quelli che si usano nella pesca con il galleggiante scorrevole) così in caso che sia stato ceduto del filo durante il combattimento con il pesce è facile riposizionare l’anello elastico nello stesso punto di prima.
Il nodo di stop aiuta a resettare la distanza di pesca nel caso sia stato concesso del filo al pesce. Al lancio successivo basta infatti recuperare fino al nodo e applicare nuovamente l’anello in gomma.
Montature, esche e pasture
È comprensibile che un solo paragrafo non possa scendere nel dettaglio di un argomento così vasto quindi occorre al momento limitarsi solo ad alcune considerazioni generali. Le montature sono quelle classiche del feeder che abbiamo già presentato: running rig e paternoster.
Schema semplificato di free running rig.
In mare le differenze tra paternoster e running rig sono abbastanza attenuate mentre si fanno molto più evidenti in corrente (fiume e tratto di foce). Per questa ragione una volta “potenziato” il running rig con un settore antitangle (antigroviglio) se ne può suggerire l’uso in ogni situazione, compresa la pesca in long range.
Vediamone dunque una variante leggermente più elaborata. Le caratteristiche:
- Girella con moschettone di attacco al feeder con anello abbastanza ampio: assicura che la lenza possa scorrere facilmente.
- Doppio sistema di stop in gomma: migliora la funzione salvanodo e rende il sistema di stop meno incline a scivolare in basso.
- Brillatura antitangle: classica brillatura della lenza madre la cui lunghezza deve essere almeno due volte quella del feeder.
- Girella quick change: è inclusa nell’asola della brillatura e consente di sostituire rapidamente il terminale.
Il running rig con brillatura antitangle.
Tra gli innumerevoli approcci in mare se ne possono indicare almeno due molto classici: pesca con il bigattino come esca e pastura e la pesca con gli sfarinati (groundbaits). L’approccio con il solo bigattino prevede l’uso di feeder di tipo block-end che vengono caricati con larve sfuse. Su profondità importanti si può rallentare la fuoriuscita delle larve dal pasturatore durante la calata riducendo il numero di fori (qualche passata di nastro isolante intorno al feeder) oppure ricorrendo all’incollaggio dei bigattini. L’esca è ovviamente il bigattino che può essere appuntato singolo, in coppia o a ciuffetto.
Feeders block-end. A sinistra un modello da long range.
Il bigattino è un’esca universale e assolutamente non selettiva. Altro aspetto da considerare è che viene innescato su ami di ridotte dimensioni e quindi adatti ad ogni tipo di pesce, da quello di taglia maggiore a quello di taglia molto piccola. Va poi aggiunto che la risposta alle larve come unica forma di pastura è in genere più lenta rispetto agli sfarinati per il semplice fatto che l’attrazione è prevalentemente visiva. Questo deve far riflettere sulla possibilità, almeno in inverno o in presenza di una luminosità ambientale fortemente ridotta, di abbinarlo quantomeno nelle fasi iniziali della sessione ad una pasturazione mista. Questa si può effettuare o pasturando preventivamente con soli sfarinati tramite feeder open-end (in pratica preparando un fondo) oppure introducendo nel block-end una quota di sfarinato insieme ai bigattini. Poi una volta concentrati i pesci si può proseguire con i soli bigattini.
Il sarago maggiore è una specie con habitat vasto rappresentando pertanto una preda comune a molte tipologie di spot, dalla scogliera, alla spiaggia, all’area portuale.
L’approccio con i soli sfarinati in pastura prevede l’uso di pasturatori diversi, gli open-end (propriamente detti o a gabbia). Qui bisogna considerare che tanto più un pasturatore è “aperto”, tanto più velocemente si idrata e rilascia pastura dunque la scelta del feeder deve tenere in considerazione sostanzialmente la profondità di pesca: sui bassi fondali si utilizzano i pasturatori a gabbia (cage feeders), su fondali profondi conviene optare per forme con meno aperture laterali.
Feeders open-end con più o meno aperture. A destra due classici cage-feeder in metallo e plastica.
Esistono centinaia di pasture utilizzabili in mare, compreso un vasto range di prodotti specifici per l’acqua dolce. Il motivo di tale sovrapposizione (vale infatti anche l’opposto) sta negli ingredienti di base che spesso sono formaggio, pane e farina di pesce o gambero. Detto questo in mare se ne usano essenzialmente due: la bianca al formaggio e la scura “fondo mare” con farina di pesce a volte indicate come “cefalo bianca” e “sarago e orata” (per citarne alcune). Queste pasture sono per lo più mescolate a secco in quota del 50% ciascuna e poi idratate fino ad ottenere la consistenza desiderata. Le esche, quando si pesca con gli sfarinati, sono delle più varie. Si possono utilizzare ancora i bigattini ma in genere si opta per altro. Personalmente trovo gli anellidi di scarsa utilità in quanto in mare sono soggetti ad un consumo decisamente notevole. Discorso diverso in foce dove le specie ittiche tendono a ridursi per lo più ai cefali, alle orate e alle spigole e quindi gli anellidi acquisiscono una sorta di “specificità d’ambiente”. Altre esche in mare hanno pari efficacia, sono più economiche ed hanno maggior durata (conservazione) il che le rende, almeno per me, di gran lunga preferibili.
L’orata ha un habitat parzialmente sovrapponibile a quello del sarago ma abitudini decisamente diverse. Rappresenta comunque una preda molto frequente nella pesca a feeder in mare.
Tra le esche bianche di una certa consistenza e particolarmente versatili nella realizzazione di un nutrito numero di inneschi diversi il primo posto spetta al mantello di totano o calamaro. Più morbido ma non meno efficace è il petto di pollo crudo, gradito praticamente a tutte le specie. Eccezionali, almeno per quella che è la mia esperienza, sono poi i vari pellets alla farina di pesce e al krill (piccoli crostacei oceanici). Molte altre esche svolgono infine un ruolo nella pesca a feeder in mare ed avremo modo di prenderle in considerazione più avanti focalizzandoci nei dettagli di ogni singolo approccio.
Perche inserire piccoli dettagli in Inglese, quando tutto l articolo è Italiano!!!
Ciao Reno, generalmente uso i termini inglesi laddove siano più comuni del corrispettivo italiano o si riferiscano a prodotti d’oltremanica che uso o consiglio. Più o meno mi regolo così 😉
Franco